Dalla Germania, cuore agricolo del Vecchio Mondo, fino alla Pianura padana le proteste degli agricoltori dilagano. Costi, vincoli e mercato comune, ma non solo. C’è un nodo irrisolto nelle politiche Ue.
Alle proteste degli agricoltori tedeschi è ricomparsa, non senza polemiche, la bandiera del Landvolkbewegung: aratro bianco e la spada rossa che si conficca fulminea nella terra nera; un simbolo già radicale, come il clima del tempo. Quasi un secolo fa, in seguito alla depressione economica e alla regionalizzazione dell’economia mondiale, questo movimento scosse lo Schleswig-Holstein, la regione anseatica di Lubecca e Kiel, saldando insieme le rivendicazioni della terra con la difesa dei valori rurali che questa incarna e cavalcando un generale malcontento contro il “sistema”, nonostante l’accorta politica di Stresemann. “Nera è la preoccupazione, nero è il nostro pane”, cantavano allora i contadini.
La questione della terra, che si ripresenta ciclicamente un po’ ovunque allo sparire delle aziende medio-piccole, si conferma dirimente per la Germania, locomotiva europea ma anche capofila nelle esportazioni di prodotti agroalimentari per un valore di 50 miliardi. Non foss’altro perché la Germania domina le fertili pianure tra il Reno e l’Oder. Il portentoso sviluppo industriale, ai limiti del solito dumping, a partire dal primo decennio del 2000, sorretto da un costo del lavoro basso per effetto delle riforme Hartz e dalla disponibilità pressoché illimitata di energia, grazie al mix energetico di gas russo e nucleare (allo spegnimento degli ultimi reattori l’atomo forniva solo il 6% mentre negli anni ’90 era oltre il 30%), aveva messo in ombra quello che ad oggi è ancora un settore cardine per l’economia tedesca, quello agricolo, settore avviato progressivamente verso l’agricoltura bio.
C’è un retroterra che non conviene ignorare. Engels ha dedicato un libro alla ricostruzione delle guerre dei contadini tedeschi del Cinquecento, al liquefarsi della società feudale e dei suoi vincoli. Il filosofo di Barmen identifica nelle idee della Riforma, risaltando il conflitto tra Müntzer e Lutero, l’unico collante ideologico che ha permesso, in una Germania allora iper-frammentata, di unificare le istanze dei contadini in zone così distanti e diverse. Non è un caso che le rivendicazioni dei contadini e di micro-proprietari si siano fuse con quelle dei soldati mercenari – Landsknecht significa “servo della terra” – che poi scaricheranno la propria furia e fame su un’Italia ricca ma sguarnita.
Insomma, non è così vetusto e lontano dalla contemporaneità il mondo agricolo. Si pensi al peso del contadino anatolico nelle sorti di una Turchia pur pienamente industriale: è quel Toprak Adam (“L’uomo della terra”) di Neşet Günal che si vede all’Istanbul Modern Museum di Istanbul da poco rinnovato da Renzo Piano. E non è proprio la “Francia profonda” quella cui, giustamente, un’ultima Agnès Varda e JR danno dignità nel delicato Visages, villages?
In una pregevole intervista a L’Express Sébastien Abis, direttore del Club Demeter e ricercatore all’IRIS, ha ricostruito alcuni nodi del settore: gli scossoni geopolitici che hanno sconquassato l’obiettivo del produrre meno e produrre in modo più “green”, la cosiddetta “inflazione alimentare” e i costi per il consumatore che però deve abituarsi a pagare la qualità. Il settore agricolo, che ha estremo bisogno di energia, è anche quello che maggiormente ha puntato sulle rinnovabili, ricorda sempre Abis.
Senza dimenticare la questione dell’ingresso nel mercato comune europeo dell’Ucraina: maggiore sicurezza alimentare, da un lato, grazie a “volumi e varietà” al prezzo di prodotti agricoli spesso fuori degli standard europei. Del resto, quel limes convulso tra Russia e Ucraina è ricco černozëm e produce quasi il 15% del grano mondiale; l’Ucraina, prima della guerra, era il quarto esportatore mondiale di mais (24 milioni di tonnellate) e di orzo (4,2 milioni di tonnellate).
Abis, che dimostra di vedere lontano, avvisa: “(…) La nuova PAC, entrata in vigore nel gennaio 2023, si basa su 27 piani strategici nazionali. Stiamo vivendo una sorta di rinazionalizzazione dell’agricoltura europea, che ha meccanicamente aperto il vaso di Pandora delle rivendicazioni locali. Nei Paesi Bassi si riferiscono all’azoto e al bestiame, in Germania all’energia, in Francia è un po’ un miscuglio di tutto questo. Infine, il rischio che si profila all’orizzonte è quello della concorrenza tra Stati membri. Dobbiamo ripristinare la comunanza nella politica agricola europea”.
C’è da trovare un equilibrio, che non si trova, tra autosufficienza alimentare e qualità del prodotto in termini di filiera corta, basse emissioni, zero ritrovati chimici. C’è una transizione, figlia anche del momento attuale, da gestire politicamente.
Di Lorenzo Somigli